Állami gimnázium, Fiume, 1887
4 colla famosa lettera di Leonardo Bruni d’Arezzo (1369-1444) ') e riuscirono alle insigni opere moderne di Federico Diez (1794-1876) e della sua gloriosa scuola 2); e non vogliamo nemmeno discutere quella coscienza teorica che Dante ebbe dell’illustre idioma letterario, quale egli la manifestò — ferma ma non scevra di pregiudizi — nel primo libro del suo trattato rDe eloquentia volgari“ 3), che il Manzoni avrebbe voluto contraddire e distruggere. Il modesto lavoro, che si presenta ai lettori di questo programma ginnasiale, ad altro non mira senonchè ad esporre, nel modo più popolare che sia possibile, perchè il latino di Roma dovesse svolgersi nei parlari d’Italia, come e quando si stabilisse la lingua colta italiana : nella quale esposizione non sarà fuor di luogo toccare d’alcune altre vicende della vita politica e della cultura, che accompagnarono quella naturale evoluzione. I. Lingua letteraria e lingua parlata. In ogni popolo che sia giunto a certo qual grado di civiltà e di cultura si sogliono avvertire due fogge distinte di parlare: Г una, quasi privilegio delle persone erudite, è Г idioma letterario, che vien regolato dalle norme grammaticali e si raccomanda al buon gusto di chi lo parla e lo scrive; l’altra è naturale patrimonio di tutto il popolo, che lo apprende senza bisogno di regole nè d’illustri esemplari. Così nell’antica Roma accanto alla maestà del latino classico, scritto dai letterati e declamato nelle magne adunanze, viveva umile vita un latino più semplice e rozzo, antico retaggio del popolo, parlato sempre dagl’ incolti, e tuttavia non isdegnato dalle colte e civili persone nel dimesso favellare della plebe e dei rustici. 11 divario che passava fra la lingua volgare ed il latino illustre, mostravasi anzitutto nella pronuncia meno accurata delle parole, affidate agli organi dell’udito e della favella, e però capaci d’alterazione, e nella tendenza a semplificare l’andamento grammaticale della lingua, sia nelle forme, sia nella sintassi; a ciò s’aggiungevano quelle differenze lessicali, per cui il popolo adoperava nel suo linguaggio vocaboli che dallo scrittore eran del tutto evitati; usava per lo stesso concetto due о più voci sinonime, fra cui la lingua dotta osservava severe distinzioni ; ovvero appresso a voci semplici e primitive veniva formandosene altre più lunghe ') Qusestionem an vulgus et literati eodem modo et idiomate Romai locuti sint discutit. Lettera a Flavio Biondi di Forlì (Ejristolse familiäres, lib. VI, 10), riferita per intiero anche dal Bartoli, I primi due secoli della letteratura italiana; Milano 1880, pag. 5-8. l) Notinsi come opere fondamentali del Diez la sua Grammatica (storica e comparativa) delie lingue romanze e il suo Dizionario etimologico delle lingue romanze. — Un conciso riassunto della sua scuola vedi in Gröber, Grundriss der romanischen l’hilologie; Strassburg. 3) Fe fece un dottissimo Studio l’illustre prof. D’Ovidio „Sul trattato de vulgari eloquentia di Dante Alighieri“ che si può leggere nei suoi „Saggi critici“ Napoli, 1879. — In quest’opera trattasi pure della teoria manzoniana, nell'articolo intitolato ,,Lingua e dialetto“.