Berzeviczy Albert: Gli esuli ungheresi in Italia nella seconda meta del secolo XIX. (Budapest, 1932)

Oli esuli ungheresi in Italia 3 accesi fuochi di allegrezza ; il recinto della quarantena era circon­dato da barche ; risuonavano musiche, canti, grida di « evviva Kos­suth e l’Ungheria»; vennero distribuiti fogli volanti, come quello coll’iscrizione : « La piccola tigre d’Absburgo, il primo tra i tiranni della terra, ed il leone d’Ungheria, redentore del popolo ». Kossuth rivolse anche discorsi in lingua italiana alle deputazioni ed alla gioventù venute a salutarlo. Le accoglienze trovate in Italia lasciarono certamente nell’ani­ma di Kossuth una impressione profonda e durevole : esse confer­mavano la sua fede nelle simpatie del popolo italiano per la sua per­sona e per la sua patria, ma destavano nello stesso tempo la sua dif­fidenza per il Governo di Piemonte dell’epoca, accresciuta poi per l’influenza del celebre esule d’Italia, Mazzini, con cui il Kossuth entrò in rapporti di amicizia durante il suo lungo soggiorno a Londra. Quest’amicizia dei due grandi esuli fu turbata un poco da un avvenimento successo a Milano nel carnevale dell’anno 1853. Era la rivolta tentata contro l’esercito austriaco, i cui organizzatori si ser­virono di un proclama di Kossuth che incitava i soldati ungheresi ad abbandonare le file austriache. La rivolta precipitata e mal orga­nizzata non potè riuscire, ma provocò invece atti crudeli di vendetta e di repressione da parte dell’Austria. Kossuth, vedendo il cattivo esito e volendo sottrarsi alla responsabilità, accusò pubblicamente il Mazzini di aver abusato del suo nome. Questa accusa non era del tutto fondata : il proclama era bensì opera del Kossuth, ma -desti­nato forse ad un’occasione più propizia. Il fatto produsse non soltan­to dissenso fra Kossuth e Mazzini, ma acuì la diffidenza del governo piemontese verso l’emigrazione ungherese, al punto che si venne al­l’arresto ed all’espulsione di Tiirr, che alla notizia della rivolta pre­parata a Milano, era penetrato con incredibile temerità in Lombar­dia, riuscendo a pena a salvare la vita. Questa diffidenza, ormai reciproca, era senza dubbio contraria ai piani originali dei rivoluzionari di ambedue le nazioni. Gli sforzi dell’Ungheria per riacquistare l’indipendenza, e del­l’Italia per creare l’unità nazionale, mostravano fin dalla rivoluzio­ne del 1848-19, una certa comunanza, e perciò era naturale che l’e­migrazione ungherese riponesse sin da bel principio le sue speranze anche nell’appoggio aspettato da parte della nazione italiana. I fatti accennati indebolivano queste speranze che più ancora parvero de­luse, quando nella guerra di Crimea il Piemonte si accostò all’allean­za delle potenze occidentali, avvicinandosi per tal modo anche al­

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